La privacy svanisce nel retro di un Lyft: una storia di sorveglianza reale- IIIsettimana di mese 2025
di Claudia Giulia Ferraùto - 17 APRILE 2025
Questo articolo fa parte della Newsletter settimanale “Tech e Privacy”
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La privacy svanisce nel retro di un Lyft: una storia di sorveglianza reale
È l’11 marzo 2025, e Toronto si sveglia sotto un cielo terso, con quella luce primaverile che rende tutto un po’ più vivo. Anvi Ahuja, una persona come tante con la mente piena di pensieri quotidiani, sale sul retro di un Lyft. Il sedile è morbido, l’odore di pulito nell’aria, il conducente silenzioso. Con lei ci sono alcuni conoscenti, e mentre il traffico scorre lento, iniziano a chiacchierare. È probabilmente una conversazione banale, di quelle che si fanno senza pensarci troppo: magari parlano del lavoro, di un nuovo ristorante in città, di sogni e piccoli drammi. Non sanno che ogni loro parola viene registrata, trascritta, e sta per diventare il centro di un incubo tecnologico.
Anvi torna a casa, il viaggio è già dimenticato. Ma poi, un messaggio. Uno squillo sul telefono, un numero sconosciuto. Apre il testo e il cuore le salta in gola: è la trascrizione esatta della conversazione avvenuta poco prima in macchina. Ogni parola, ogni pausa, tutto lì, nero su bianco, come se qualcuno avesse ascoltato e annotato ogni sillaba. Confusa, chiama il numero. Una voce registrata risponde, fredda, generica, e sembra provenire dal servizio Lyft. Ma come? Perché? Chi ha il suo numero? E, soprattutto, chi ha quella trascrizione?
La risposta arriva giorni dopo, e non è rassicurante. Lyft, contattata da Anvi e da CBC News, ammette di aver avviato un programma pilota a Toronto. Microfoni nei veicoli, conversazioni registrate e trascritte, tutto per “motivi di sicurezza”. Le trascrizioni, dicono, dovrebbero andare solo all’azienda, archiviate in via precauzionale in caso di problemi. Non dovrebbero mai finire nelle mani di estranei. Eppure, qualcuno ha mandato quel messaggio ad Anvi, usando un numero mascherato che sembra legato a Lyft. Il conducente? Un hacker? Un errore del sistema? Lyft non lo sa, o non lo dice.
All’inizio, l’azienda punta il dito contro il conducente, sostenendo che abbia registrato senza consenso. “Abbiamo preso provvedimenti”, dichiarano, senza specificare quali. Ma Anvi non ci crede. Come poteva il conducente avere il suo numero? E perché la trascrizione sembra così precisa, così professionale, come se fosse stata generata da un software avanzato? Lyft ammette che il programma pilota esiste, ma non spiega come i dati siano finiti altrove, finendo poi per essere trascritti e inviati in un messaggio alla donna. Anvi si sente violata. “Pensavo fosse un viaggio normale”, racconta a CBC. “Non immaginavo che le mie parole private potessero essere ascoltate, trascritte, e inviate chissà dove.”
La storia di Anvi non è solo un incidente isolato. È un campanello d’allarme. In un mondo dove la tecnologia promette comodità, il prezzo da pagare è la privacy? Seduta su quel sedile, Anvi non immaginava di essere un dato, una stringa di testo in un database, una conversazione pronta a essere condivisa. Ora si chiede: chi altro sta ascoltando? E cosa succede quando i sistemi invece di proteggerci iniziano a tradirci?
Mentre Lyft indaga, il caso di Anvi scuote Toronto e oltre. Le conversazioni nei taxi non sono più solo chiacchiere. Sono potenziali file, vulnerabilità, pronte a essere intercettate. E in un’epoca in cui la realtà sembra superare la fantascienza, la domanda non è più se la distopia sia possibile, ma se ci siamo già dentro.
A mio parere
Il caso di Anvi rivela un conflitto tra sicurezza e diritto alla privacy. La sorveglianza di Lyft, giustificata come misura protettiva, espone utenti inconsapevoli a rischi di abusi o violazioni, come dimostra la fuga di dati.
La scarsa trasparenza dell’azienda sottolinea l’urgenza di normative più severe per regolamentare tecnologie invasive e ristabilire la fiducia. Ma ora la domanda da farsi è: chi altro ci spia trascrivendo tutto di noi senza il nostro consenso? E no, non è una domanda provocatoria, sappiamo che l’ha fatto Lyft solo perché la cosa gli è sfuggita di mano, diversamente non l’avremmo saputo. Ma se la tecnologia e l’intenzionalità esistono signifca che sono in uso anche altrove.
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Analista indipendente, opero con passione per la verità e l’informazione, tutelata dall’articolo 21 della Costituzione. Iscritta all’Ordine dei Giornalisti dopo il praticantato, ho scelto di cancellarmi per coerenza etica in relazione ad esperienze con figure istituzionali. Laureata con lode in Architettura e Urbanistica, ho affinato la mia analisi tra studi professionali, cantieri navali e ricerca tecnologica. Ho collaborato con testate come Il Foglio, L’Espresso e Il Sole 24 Ore, contribuendo con articoli e analisi. Da tre anni curo una rubrica di tecnologia negli spazi dell’Istituto Bruno Leoni, approfondendo temi di innovazione e analisi. Co-autrice e curatrice del libro “Intelligenza Artificiale: cos’è davvero” con prefazione di Piero Angela, per Bollati Boringhieri.