Il medico scemo: possiamo fidarci di una chatbot? - I settimana di Aprile 2025
di Claudia Giulia Ferraùto - data 2025
Questo articolo fa parte della Newsletter settimanale “Tech e Privacy”
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Stasera alle 19,30 ci sentiamo su Twitter X per l’incontro del ciclo “Newsletter & Chip(s)” - l’ospite della serata sarà il vicedirettore Marco Pratellesi, con cui parleremo dell’impatto dell’intelligenza artificiale (IA) sul giornalismo, offrendo una prospettiva equilibrata tra opportunità e sfide. QUI.
Il medico scemo: possiamo fidarci di una chatbot?
Ti fideresti di un medico che non ti ha mai visitato, non conosce la tua storia e a volte inventa risposte? Eppure, milioni di persone lo fanno ogni giorno, affidandosi a intelligenze artificiali (IA) come ChatGPT, Gemini o Grok per autodiagnosticarsi. Aureliano Stingi, biotecnologo molecolare con un dottorato in oncologia all’Università di Ginevra e autore di diversi articoli scientifici e divulgativi, ha sollevato il problema in un post su X. Stingi - che oggi lavora in una startup biomedica e collabora con enti come la LILT di Roma - mette in guardia sui rischi di scambiare un algoritmo per un camice bianco. La diagnosi medica, spiega, è troppo complessa per essere ridotta a una risposta tramite un chatbot.
Eppure, non tutti la pensano così. Bill Gates, co-fondatore di Microsoft e figura influente nel panorama tecnologico globale, ha dichiarato in un’intervista a *The Tonight Show* con Jimmy Fallon, del 4 febbraio 2025: “Con l’IA, nei prossimi dieci anni, [l’AI] diventerà gratuita e comune, ottimi consigli medici, ottimi tutoraggi. […] Non avremo bisogno di umani per la maggior parte delle cose”. Gates prevede un futuro in cui l’IA non solo affiancherà, ma addirittura sostituirà medici e altri professionisti, rendendo l’expertise umana obsoleta in molti campi. Questa visione, espressa mentre promuoveva il suo memoir *Source Code*, contrasta nettamente con il monito di Stingi.
Stingi infatti evidenzia una tendenza preoccupante: sempre più persone usano le IA come “medici virtuali” per risposte rapide, senza recarsi in ambulatorio. Un articolo del *British Medical Journal* del 12 marzo 2025 segnala che questa abitudine è in crescita tra i giovani, con un aumento del 25% rispetto al 2024. Ma i rischi sono concreti. E Stingi cita due studi: uno su ChatGPT in ortopedia mostra risultati altalenanti - quasi il 100% di accuratezza in alcuni casi, ma errori gravi in altri, spesso senza consigliare una visita medica. Il ConfidenceClub Digital Doctor Study confronta cinque AI (ChatGPT 4, DxGPT, Co-Pilot, Gemini, Grok) con domande da esame medico britannico: 89% di accuratezza con termini tecnici, ma solo 43% con linguaggio comune, e raramente si suggerisce di consultare un medico.
Ora immagina di dire a un’IA: “Ho mal di testa e un po’ di nausea”. Potrebbe risponderti “emicrania” o “tumore”, senza chiederti da quanto tempo hai i sintomi o se hai battuto la testa. Le IA non colgono il contesto umano - la storia clinica, le emozioni, i dettagli sfumati - e possono “allucinare”, generando informazioni errate. Stingi lo sottolinea: la diagnosi richiede esperienza e interazione, non solo dati.
Gates, invece, vede nell’IA una soluzione universale, un’era di “intelligenza gratuita” che risolverà carenze come la mancanza di medici. Ma è davvero così semplice?
A mio parere
La divergenza tra Stingi e Gates riflette due visioni opposte sull’IA in medicina. Stingi, con la sua esperienza scientifica, ci ricorda i limiti attuali: l’IA può sbagliare, omettere il consiglio umano e ignorare la complessità della salute. Gates, con il suo ottimismo tecnologico, scommette su un futuro in cui questi problemi saranno superati, e l’IA diventerà un medico digitale affidabile per tutti.
Ma la realtà potrebbe stare nel mezzo. L’IA ha già dimostrato di poter supportare i medici, analizzando dati o suggerendo diagnosi, ma sostituirli del tutto sembra una promessa azzardata. La salute non è solo scienza: è empatia, intuizione, fiducia. Un algoritmo può imparare a simulare queste qualità, ma non a provarle. E se Gates avesse ragione sul lungo termine, chi controllerà questa “intelligenza gratuita”? Aziende come Microsoft, con enormi interessi economici, potrebbero plasmare un sistema sanitario digitale in cui il paziente diventa un dato, non una persona. Forse il vero rischio non è l’errore dell’IA, ma la perdita dell’umano.
La questione dell’IA in medicina mi lascia con più domande che certezze. Da un lato, capisco il monito di Stingi: affidarsi a un algoritmo per qualcosa di così delicato come la salute sembra un salto nel buio. Quante volte avete digitato sintomi su Google, convincendovi di avere chissà quale malattia, per poi scoprire che era solo stanchezza? Con l’IA il rischio è simile, ma amplificato: le risposte sono più articolate, sembrano autorevoli, eppure mancano di quel filtro umano che solo un medico capace può offrire. Mi chiedo: siamo davvero pronti a delegare la nostra salute a una macchina che non ci guarda negli occhi, non ci chiede “come ti senti davvero”? E se l’AI sbaglia - come gli studi dimostrano - chi ne paga le conseguenze? Il paziente, mica il codice.
Dall’altro lato, l’entusiasmo di Gates non è del tutto campato in aria. Viviamo in un mondo dove l’accesso ai medici non è uguale per tutti: code infinite, costi proibitivi, aree rurali senza ospedali. Un’IA che offre “consigli medici gratuiti” potrebbe essere una rivoluzione, soprattutto per chi non ha alternative. Ma mi domando: sarà davvero gratuita? O pagheremo finendo in un sistema dove le diagnosi sono influenzate da chi controlla gli algoritmi, magari delle stesse aziende che li vendono? E poi, c’è un aspetto inquietante: se l’IA diventa il nostro “dottore”, cosa succede a quel rapporto di fiducia, fatto di parole, sguardi, rassicurazioni, che nessuna macchina può replicare?
Forse la verità sta in una via di mezzo, nella collaborazione, ma mi chiedo: siamo capaci di fermarci lì, o la tentazione di automatizzare tutto ci porterà troppo lontano? Stingi ci ricorda i limiti di oggi, Gates ci proietta in un futuro possibile. Io, nel mezzo, mi ritrovo a pensare: e se il progresso ci rendesse più sani, ma meno umani? È una domanda aperta, senza risposta facile. E forse è giusto così: la salute non è un’equazione da risolvere, ma una storia da ascoltare e da scrivere con cura.
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Analista indipendente, opero con passione per la verità e l’informazione, tutelata dall’articolo 21 della Costituzione. Iscritta all’Ordine dei Giornalisti dopo il praticantato, ho scelto di cancellarmi per coerenza etica in relazione ad esperienze con figure istituzionali. Laureata con lode in Architettura e Urbanistica, ho affinato la mia analisi tra studi professionali, cantieri navali e ricerca tecnologica. Ho collaborato con testate come Il Foglio, L’Espresso e Il Sole 24 Ore, contribuendo con articoli e analisi. Da tre anni curo una rubrica di tecnologia negli spazi dell’Istituto Bruno Leoni, approfondendo temi di innovazione e analisi. Co-autrice e curatrice del libro “Intelligenza Artificiale: cos’è davvero” con prefazione di Piero Angela, per Bollati Boringhieri.