Quanto costerebbe un IPhone “Made in USA”? Un salasso da 3.500 dollari - II settimana di aprile 2025
di Claudia Giulia Ferraùto - data 2025
Questo articolo fa parte della Newsletter settimanale “Tech e Privacy”
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Se vince la linea Trump un iPhone “Made in USA” verrebbe a costare una cifra insostenibile: 3.500 dollari
Secondo le stime riportate dalla CNN e fornite da Dan Ives, responsabile globale della ricerca tecnologica presso Wedbush Securities - basandosi sulla politica dei dazi e rilocalizzazione - prezzo di un iPhone potrebbe salire vertiginosamente fino a toccare quota 3.500 dollari, se Apple decidesse davvero di trasferire la produzione negli Stati Uniti.
Questa previsione si inserisce nel contesto delle politiche commerciali proposte da Donald Trump, che spingerebbero per una rilocalizzazione della produzione sul suolo americano. Tuttavia, gli analisti avvertono che il costo per Apple sarebbe altissimo: circa 30 miliardi di dollari solo per trasferire il 10% della catena di approvvigionamento, un’operazione che tra l’altro richiederebbe almeno tre anni, per una prima parte del processo.
Secondo Ives, realizzare l’intera produzione dell’iPhone negli Stati Uniti rappresenterebbe una “storia di fantasia”, soprattutto per l’enorme complessità e i costi necessari per ricreare negli USA l’attuale ecosistema produttivo asiatico. La cifra di 3.500 dollari rappresenterebbe quindi il risultato diretto di manodopera più costosa, infrastrutture da costruire e forniture tecnologiche da rilocalizzare in aree come il West Virginia o il New Jersey.
A mio parere
L’analisi è essenzialmente un esercizio di stile, visto che Apple non sta comunicando niente in tal senso, ma è interessante perché rappresenta il potenziale impatto delle politiche protezionistiche di Trump sull’economia tech.
Il buono è che questa stima - che temo non sia affatto lontana dal veto - sta alimentando un acceso dibattito sulla sostenibilità economica del “Made in USA” in ambito tech, mettendo in dubbio la linea politica di Trump nel dibattito pubblico degli Stati Uniti.
A margine. Un’altra caratteristica interessante, principalmente a livello sociale e giornalistico, è che questa stima, assolutamente realistica, viene sempre una sola - seppur autorevole- fonte riportata da tutti i media ha generato una sorta di certezza tautologica. Quel prezzo è ormai dato per certo, sebbene sia sempre e solo la stessa stima. Una valutazione auto validata grazie all’eco mediatico. La cosa più buffa è che lo stesso Dan Ives a sottolineare come l'idea sia una "storia di fantasia"perché sarebbe necessario replicare negli Stati Uniti l’intero ecosistema produttivo - peraltro altamente complesso - attualmente esiste in Asia.
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Analista indipendente, opero con passione per la verità e l’informazione, tutelata dall’articolo 21 della Costituzione. Iscritta all’Ordine dei Giornalisti dopo il praticantato, ho scelto di cancellarmi per coerenza etica in relazione ad esperienze con figure istituzionali. Laureata con lode in Architettura e Urbanistica, ho affinato la mia analisi tra studi professionali, cantieri navali e ricerca tecnologica. Ho collaborato con testate come Il Foglio, L’Espresso e Il Sole 24 Ore, contribuendo con articoli e analisi. Da tre anni curo una rubrica di tecnologia negli spazi dell’Istituto Bruno Leoni, approfondendo temi di innovazione e analisi. Co-autrice e curatrice del libro “Intelligenza Artificiale: cos’è davvero” con prefazione di Piero Angela, per Bollati Boringhieri.