Segreti in Chat: Quando la Guerra Finisce su Signal- I settimana di Aprile 2025
di Claudia Giulia Ferraùto - data 2025
Questo articolo fa parte della Newsletter settimanale “Tech e Privacy”
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Stasera alle 19,30 ci sentiamo su Twitter X per l’incontro del ciclo “Newsletter & Chip(s)” - l’ospite della serata sarà il vicedirettore Marco Pratellesi, con cui parleremo dell’impatto dell’intelligenza artificiale (IA) sul giornalismo, offrendo una prospettiva equilibrata tra opportunità e sfide. QUI.
Segreti in Chat: Quando la Guerra Finisce su Signal
“Sono le 11:44 di un venerdì mattina, 15 marzo 2025, e sto fissando il mio telefono nel parcheggio di un supermercato. Un messaggio su Signal lampeggia sullo schermo. Mittente: Pete Hegseth, Segretario alla Difesa degli Stati Uniti. Mi sta inviando i dettagli di un attacco militare imminente: obiettivi nello Yemen, armamenti, tempistiche. Io, Jeffrey Goldberg, direttore di The Atlantic, sono appena diventato il destinatario involontario di un segreto di Stato. Due ore dopo, le bombe cadono su Sana’a. Non è un film. È la realtà.”
Devono essere stati all’incirca questi i pensieri di Goldberg, o almeno così me li sono immaginati leggendo la cronaca di pochi giorni fa.
Ma torniamo indietro. La vicenda inizia l’11 marzo, quando Goldberg riceve una richiesta di connessione su Signal da “Michael Waltz”, Consigliere per la Sicurezza Nazionale di Donald Trump. Due giorni dopo, si ritrova in una chat chiamata “Houthi PC small group”, con nomi come il Vicepresidente JD Vance, il Segretario di Stato Marco Rubio e lo stesso Hegseth. Il tema di cui si discute in quella chat è chiaro: piani per colpire i ribelli Houthi, il gruppo yemenita sostenuto dall’Iran che attacca navi nel Mar Rosso. I messaggi non sono vaghi: contengono dettagli operativi, come “1415: Droni d’attacco sul bersaglio” e il piano per uccidere un leader Houthi specifico, oltre a un dibattito strategico. Vance esprime dubbi sull’impatto economico e politico, temendo un aumento dei prezzi del petrolio, mentre Hegseth preme per agire, temendo fughe di notizie.
Ironia della sorte, una fuga c’è già, visto che Goldberg legge tutto.
La chat avviene su Signal, un’app criptata ma non autorizzata per comunicazioni classificate, violando le norme federali sulla sicurezza e il Presidential Records Act.
Due ore dopo il messaggio di Hegseth, l’attacco su Sana’a si verifica, confermando la veridicità di quanto condiviso.
A fatti scoperti, la Casa Bianca non nega: la chat è autentica, e ora si indaga su come un giornalista sia finito lì.
L’ipotesi più accreditata è un errore di Waltz, che potrebbe aver confuso le iniziali di Goldberg (JG) con quelle di un funzionario come Jamieson Greer. Nel frattempo, Steve Witkoff, inviato speciale per l’Ucraina e il Medio Oriente, partecipava alla chat dalla Russia, aggiungendo un ulteriore strato di complessità.
Trump però ha insistito che non includeva contenuti classificati, ma fonti della difesa, riportate da CNN, confermano il contrario: i dettagli erano altamente sensibili, e se intercettati, avrebbero messo in pericolo i piloti americani.
Hegseth minimizza, definendo Goldberg “un giornalista screditato”, mentre Trump, frustrato dalle critiche, attacca i media, liquidando la questione con un “non so nulla”.
Ma i fatti parlano da soli visto che il 26 marzo, The Atlantic ha pubblicato screenshot e la trascrizione completa della chat, mostrando tempi precisi (es. “1536: F-18 2nd Strike Starts”) e armi usate, come i Tomahawk, per smentire le negazioni della Casa Bianca.
Le possibili conseguenze sono pesanti. Legalmente, l’uso di Signal per piani militari potrebbe violare l’Espionage Act, con esperti che sottolineano il rischio per le vite dei militari.
Politicamente, l’amministrazione Trump è sotto accusa: democratici come il senatore Jack Reed e il leader Hakeem Jeffries, che ha chiesto il licenziamento di Hegseth, definiscono l’episodio “un fallimento catastrofico”.
Sul piano internazionale, si teme che avversari come l’Iran possano sfruttare simili falle. The Atlantic, intanto, ha alzato la posta, minacciando ulteriori rivelazioni se il governo continuerà a sminuire la gravità.
A mio parere
Questo incidente è un campanello d’allarme sulla vulnerabilità della sicurezza nazionale in un’era digitale.
Se perfino i vertici di un’amministrazione usano app commerciali per segreti di guerra, cosa impedisce a un criminale informatico (o a uno stato nemico) di aggredire il flusso in quel canale?
Leon Panetta, ex capo della CIA, lo ha detto senza giri di parole: è “un errore che può costare vite”. Ma ci sono altre questioni critiche. Come possiamo fidarci di un governo che non protegge i suoi segreti?
E se l’errore non fosse stato tale, ma fosse nato da una scelta intenzionale, magari per testare una reazione o coprire qualcosa di più grande? La trasparenza del Presidential Records Act è a rischio, e con essa la capacità di controllare chi prende decisioni che influenzano milioni di vite. Ora che The Atlantic ha reso pubblica la chat, la domanda è: cambierà qualcosa, o sarà solo un altro scandalo dimenticato?
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Analista indipendente, opero con passione per la verità e l’informazione, tutelata dall’articolo 21 della Costituzione. Iscritta all’Ordine dei Giornalisti dopo il praticantato, ho scelto di cancellarmi per coerenza etica in relazione ad esperienze con figure istituzionali. Laureata con lode in Architettura e Urbanistica, ho affinato la mia analisi tra studi professionali, cantieri navali e ricerca tecnologica. Ho collaborato con testate come Il Foglio, L’Espresso e Il Sole 24 Ore, contribuendo con articoli e analisi. Da tre anni curo una rubrica di tecnologia negli spazi dell’Istituto Bruno Leoni, approfondendo temi di innovazione e analisi. Co-autrice e curatrice del libro “Intelligenza Artificiale: cos’è davvero” con prefazione di Piero Angela, per Bollati Boringhieri.